Ripercorriamo le vicende storico-mitologiche della nascita di Pomezia e Torvajanica scoprendo uno dei siti archeologici di maggior interesse della località costiera romana
La storia di Pomezia e della sua estensione marittima Torvajanica non può prescindere in alcun modo dalle origini storiche dell’Antica Lavinium, la città che secondo le leggende più accreditate fu fondata da Enea, figlio di Anchise e Afrodite, principe dei Dardani ed esule verso le sponde del Lazio dove appunto avrebbe fondato la città.
Al fine di ripercorrere le vicende umane e storiche che hanno portato allo sviluppo della Pomezia moderna, ovviamente, non possiamo non parlare di due elementi fondamentali: la narrazione dello sbarco di Enea e il complesso storico del Sol Indiges.
Il mito di Enea
Enea, figlio di un amore proibito tra il pastore Anchise e la dea Afrodite, caduta in tentazione per un tranello di Zeus, fu sin dalla giovane età educato alla battaglia. Genero di Priamo, prese parte al ratto di Elena e partecipò alla guerra di Troia capeggiando i Dardani.
Dopo lo scontro con Achille e la fuga da Troia, Enea – il cui viaggio è raccontato con ampiezza nell’Eneide – veleggiò verso l’Italia, sbarcando dapprima in Salento, poi in Sicilia e infine a Cuma, alle porte dell’attuale Napoli.
È qui che la vicenda umana e mitologica si mescolano, con Enea che, sceso nel regno dei morti dove incontrò Didone, poté incontrare il padre Anchise che gli profetizzò le glorie della sua nuova patria.
Al suo risveglio si ritrovò alle rive del Tevere, in una zona non meglio precisata dal racconto mitologico che oggi circostanziamo tra Gaeta (luogo di sepoltura della nutrice Caieta), Lavinio e appunto Torvajanica, dove avvenne realmente lo sbarco.
Non è indicata, in maniera precisa, l’epoca di svolgimento di questi eventi. Se per Eratostene di Cirene la caduta di Troia risale al 1184 a.C., per Catone il Censore il tutto si sarebbe svolto in tempi più recenti. In particolare modo, mentre la fondazione di Lavinium è da attribuirsi ad Enea, quella di Alba Longa avviene per volontà di Ascanio e la nascita di Roma, con Romolo e Remo, avviene con la nascita dei gemelli da Rea Silvia, che appartiene proprio alla dinastia di Ascanio.
La divinità del Sol Indiges e il Santuario
Nel culto pagano della Roma antica sono presenti due divinità che richiamano il Sole: il Sol Invictus, celebrato il 25 dicembre e dal quale deriva l’attuale collocazione del Natale e il Sol Indiges.
Quest’ultimo, il cui culto fu introdotto da Tito Tazio (primo Re di Roma insieme a Romolo, ma già Re dei Sabini), era celebrato da un santuario sul colle Quirinale ma sin da subito non fu particolarmente integrato nella vita quotidiana romana. I capitolini, infatti, vi preferivano il culto del Sol Invictus (o Sole invitto), nell’ambito di un sempre maggiore monoteismo solare che fu particolarmente spinto durante il regno di Eliogabalo, imperatore tra il 218 e il 222 d.C..
Oltre al santuario capitolino, al Sol Indiges viene generalmente associato il luogo di culto i cui resti sono oggi collocati in un’area compresa tra l’aeroporto di Pratica di Mare e il litorale di Torvajanica.
Indagini archeologiche condotte sotto la guida della sezione topografica dell’Università di Roma La Sapienza hanno permesso di recuperare in questa zona, che fino al Cinquecento era una laguna poi bonificata, le fondazioni del Santuario del Sol Indiges nei pressi del cosiddetto luogo dello sbarco (che è visitabile entrandovi da una delle spiagge di Torvajanica, mentre non è ancora accessibile l’area archeologica del Santuario).
Il complesso, del quale non restano che le tracce “basali”, presenta però al visitatore i blocchi tufacei delle fondamenta, sulle quale reggevano le mura laterali a colonnati, eccetto il lato posteriore. A completare il Santuario del Sol Indiges vi erano poi due torri difensive, presenza strutturale ampiamente consolidata nella Campagna romana fino all’epoca rinascimentale.
L’edificio ha un’importanza fondamentale nella storia pometina: non solo è il luogo che ricorda (e conferma) lo sbarco di Enea, ma ospita anche l’altare del primo sacrificio dell’eroe ellenico, che così ringrazia gli dei per la floridità di questa terra, ricca di frutti e d’acqua dolce, poiché è qui che scorreva il Numicus, il fiume che oggi corrisponde al fosso di Pratica di Mare.