Un piccolo centro marinaro assurto alla gloria di lido per i capitolini. Ecco la storia della civiltà marinara di Torvajanica, una piccola località antropizzata dai pontini e divenuta la spiaggia di Roma.
Data per buona la definizione di Roma centro come quella di Piazza della Repubblica, ecco che Torvajanica dista dalla Capitale appena 38 chilometri. Una distanza che si percorre, traffico permettendo, in circa 45 minuti passando per la Via Pontina, che si distacca dall’Urbe tagliando a metà la Campagna romana. Raggiunta Pomezia e deviando su viale Danimarca, nella parallela Via Siviglia sono i resti dell’antica Villa romana.
Benvenuti alla spiaggia di Roma, il nome che più ricorre sulle bocche di romani di città e di provincia quando i primi caldi estivi iniziano a farsi sentire. Dove andiamo in spiaggia? A Torvajanica, ça va sans dire. La scelta per molti è così scontata da non valere neanche il tempo della domanda.
C’era un tempo, a onor del vero neanche troppo lontano, quando però Torvajanica non era ancora il lido prediletto dai romani bensì un piccolo centro marinaro dove si coltivava – e in modo residuale lo si fa ancora oggi – l’arte della pesca come mezzo di sussistenza economica.
Questo lembo della costa laziale – che si estende per una lunghezza di circa otto chilometri e per alcune centinaia di metri dall’entroterra – potrebbe quasi essere considerato una piccola culla della civiltà italica così come la conosciamo oggi. Qui sbarco l’eroe troiano Enea, dalla cui progenie si sviluppò l’elemento primordiale di Roma. Ancora, è qui che le bonifiche di inizio Novecento diedero nuova linfa sociale ed economica a una zona altrimenti abbandonata dai destini storici.
Per come la conosciamo oggi, Torvajanica si sviluppa nel corso di quel Ventennio che ridefinisce le sorti di queste zone, e dell’Italia nel suo complesso. È un processo tuttavia naturale, non forzoso, che scaturisce da una necessità economica. Sono i pescatori di Minturno, località del Basso Lazio che da qui dista 150 chilometri, ad abbandonare la loro città di origine perché spinti a cercare acque (e sabbie) più pescose.
Le trovano lontane da quel Golfo di Gaeta che ancora oggi è ultimo avamposto del Lazio prima del confine campano, precisamente le trovano nei pressi del sito dello sbarco, dove trenta secoli prima Enea era approdato dopo un lungo e periglioso viaggio nel Mediterraneo.
Casualità per Enea quella di incontrare una fonte d’acqua dolce appena dopo lo sbarco, casualità per i pescatori di Minturno trovare a Torvajanica la risposta alla loro ricerca, le telline, deliziose protagoniste della cucina di queste zone.
La Tellina tenuis è tipica dei fondi sabbiosi del Mediterraneo, dove si nasconde. Per catturarla, i pescatori usano spesso un rastrello a mano, bagnandosi fino alle ginocchia oppure utilizzando piccole imbarcazioni. La raccolta è oggi residuale, ma le telline continuano a ritagliarsi il loro spazio nella vita di pescatori non più giovani, nei menù dei locali di Torvajanica e nella memoria gustativa di chi frequenta queste parti.
Nella Civiltà marinara di Torvajanica sopravvive un profondo senso gerarchico, una trasmissione ereditaria del mestiere di “tellinaro” che dai nonni è oggi nelle mani nei nipoti. Piuttosto che convertire del tutto la propria vita ai diversi ritmi della modernità, gli abitanti di Torvajanica hanno preferito conservare il rastrello e la cultura popolare di credo religioso, sentimenti, espressioni linguistiche dialettali e un folklore puro e autentico.
Proprio per coglierlo al meglio è d’uopo partecipare alla Processione di Maria Immacolata “Stella Maris”, che viene effettuata in barca lungo la rotta marittima che unisce Rio Torto e Campo Ascolano, le due estremità di Torvajanica.